Cemp Sanza – Biomag e gli effetti sulla matrice extracellulare. I problemi di modulazione dell’ossigeno a livello cellulare

Diamo qui spazio alla descrizioni di alcuni processi in cui interviene Sanza nella sua importante attività di modulazione della fornitura dell’ossigeno cellulare ed extracellulare. 

LA MATRICE EXTRACELLULARE: Le cellule,  ciò che le unisce e ciò che dà forma al nostro corpo.
Piattaforma logistica che permette i collegamenti e le comunicazioni.
Base delle articolazioni. Reparti di rifornimento.
Magazzino di detriti e depositi del materiale non più utile e dannoso.
Spazi  ove avviene l’infiammazione e si gioca la partita tra cellule immunitarie e  cellule non gradite.
Spazi logistici da cui prendono forma le malattie cronico degenerative ed i processi di invecchiamento.

…Astenia, cefalea, mancanza di concentrazione, etc.:  solo quando la ridotta disponibilità di ossigeno diviene cronica, essa dà segni in qualche modo patognomonici (pallore, fragilità ungueale, crescita stentata dei capelli etc.)…

…Fenomeni di ischemia-riperfusione avvengono fisiologicamente, allorché parti più o meno estese del nostro corpo sono sottoposte a fasi di compressione-decompressione (es. passaggio da una prolungata posizione seduta alla stazione eretta), oppure in condizioni francamente patologiche, come nelle ischemie d’organo e nella cosiddetta apnea notturna…

La matrice extracellulare può essere definita come un complesso stabile ma dinamico di macromolecole disposto intorno alla maggior parte delle cellule dell’organismo a costituire un’ordinata intelaiatura tridimensionale.  Se la cellula corrisponde agli spazi vuoti del sughero come osservò Robert Hooke con un classico paragone dal quale trasse l’origine stesso del termine di cellula come “piccola cella” – la matrice extracellulare è proprio il sughero.

Con l’enorme differenza che mentre il sughero è materia inerte, la matrice è sede di importanti fenomeni vitali.

Infatti, quando si afferma che gli organismi superiori sono costituiti da cellule, molto spesso ci si dimentica che tra queste esiste una matrice extracellulare, il cui peso secco è addirittura superiore a quello di tutte le corrispondenti cellule messe insieme.

La matrice extracellulare assume composizione diversa a seconda delle specie.

Per esempio, nelle piante, essa è composta principalmente di cellulosa mentre negli artropodi e nei funghi è costituita prevalentemente da chitina. Nell’uomo la matrice extracellulare deriva dal mesenchima, il connettivo embrionale non ancora differenziato che, in una fase molto precoce dello sviluppo, si dispone tra l’ectoderma e l’endoderma per dare origine, in seguito, ai tessuti trofoconnettivali (tessuto cartilagineo; tessuto osseo; tessuto adiposo; sangue ; tessuto linfoide) e muscolari. Taluni utilizzano il mesenchima come sinonimo di tessuto connettivo o, addirittura, di matrice, per sottolinearne, appunto, la specifica origine embrionale. A partire dalla fine dell’epoca embrionale, comunque, la matrice extracellulare assume una ben precisa struttura, assimilabile ad un colloide (=sostanza a metà tra il denso ed il liquido…) , di norma non calcificato, nella cui fase acquosa sono disperse fibre (collagene, reticolari ed elastiche) e macromolecole di natura essenzialmente polisaccaridica (glicosamminoglicani) e proteica (proteoglicani e glicoproteine).

In generale, le fibre collagene costituiscono l’intelaiatura tridimensionale di supporto dell’intera matrice, quelle reticolari formano una trama più fine intorno ai piccoli vasi sanguigni o all’interno dello stroma degli organi, mentre quella elastiche, infine, conferiscono la proprietà meccanica della distensibilità.

I glicosamminoglicani, da soli o associati ad un core proteico – come proteoglicani riempiono gli spazi lasciati liberi dall’impalcatura fibrosa e, inglobando notevoli quantità di acqua, agiscono da efficaci “shock adsorber” (a questo complesso fortemente idrofilo corrisponde la cosiddetta “sostanza fondamentale” dell’istologia classica). Particolari glicoproteine, dette di “adesione”, consentono specifiche interazioni tra le diverse componenti della matrice extracellulare e tra queste e le cellule.

Inoltre, in corrispondenza del polo basale di alcune cellule specifiche, generalmente adibite a funzioni di rivestimento e di protezione, quali le cellule epiteliali e quelle endoteliali, la matrice assume un aspetto decisamente compatto adattandosi ad una funzione prevalentemente strutturale, di sostegno, costituendo le cosiddette membrane basali, ove predomina la componente proteica.

Infine, sono riconducibili a specializzazioni della matrice le strutture di adesione interposte fra cellule epiteliali adiacenti (giunzioni serrate o occludenti, giunzioni ancoranti e gap junction).

Secondo le più recenti acquisizioni della biologia cellulare e della biochimica, la matrice extracellulare, infatti, non svolge solo una funzione strutturale di sostegno, conferendo agli organi forma e consistenza, ma protegge anche le cellule dai traumatismi. Inoltre, grazie alla sua particolare natura di gel fortemente idratato, consente un flusso incessante di molecole (nutrienti, mediatori chimici, farmaci e sostanze di rifiuto) tra il compartimento ematico e quello cellulare, facilitando la comunicazione fra le cellule e, ove previsto, orientandone la migrazione in risposta a specifici stimoli lungo ben precise direzioni. In particolare, l’interazione tra le cellule e componenti specifiche della matrice genera una serie complessa di segnali implicati nella regolazione della crescita, della differenziazione, dell’adesione e della motilità cellulare.

Non sono, poi, da trascurare alcune specifiche funzioni quali, ad esempio, la lubrificazione delle superfici articolari o dei visceri nelle grandi cavità sierose (pleure, pericardio e peritoneo) e, soprattutto, la compartimentalizzazione dei tessuti grazie alle membrane basali.

Infine, la matrice extracellulare è la sede dove hanno luogo i processi reattivi, quali l’infiammazione e la risposta immunitaria, la riparazione delle ferite e l’accumulo di grasso e di altre sostanze nocive o non più utili.

Con l’avanzare degli anni, la matrice extracellulare, per effetto anche dello stress ossidativo, perde progressivamente la sua integrità morfo-funzionale.

Così gli scambi metabolici si rallentano, la comunicazione tra le cellule viene compromessa e i residui tossici delle attività cellulari si accumulano innescando un pericoloso circolo vizioso che accelera i segni dell’invecchiamento. La pelle che è l’organo più sensibile alle alterazioni della matrice extracellulare, diventa atrofica e sottile a causa della disidratazione. Le articolazioni, a causa della riduzione delle capacità lubrificanti della sostanza intercellulare, perdono progressivamente la loro funzionalità con frequente insorgenza di rigidità ed anchilosi.

Il processo di riparazione tissutale, data anche la difficoltà di comunicazione tra le cellule e i ridotti scambi metabolici, viene notevolmente rallentato con accumulo di sostanze lesive o non più utili. Le cellule risentono immediatamente delle alterazioni della matrice riducendo la loro capacità di assimilare i nutrienti ma anche di reagire all’azione dei farmaci ai normali dosaggi, con potenziali rischi da iperdosaggio.

In soggetti predisposti, inoltre, la perdita improvvisa o graduale delle proprietà biochimiche e funzionali della matrice facilita l’insorgenza o aggrava condizioni croniche e degenerative a carico di tutti gli organi.

Tra queste sono da segnalare i processi degenerativi cronici a carico delle articolazioni ma anche quelli conseguenti alla compromissione delle strutture di rivestimento delle grandi cavità corporee, che poggiano sulle membrane basali, quali i vasi sanguigni (con predisposizione all’aterosclerosi), le mucose respiratorie gastrointestinali e genitourinarie che diventano più sensibili all’azione di inquinanti esterni (con conseguente insorgenza di allergie, infezioni, fenomeni di autoimmunità).

Infine, il trasporto degli ormoni e dei neurotrasmettitori diviene inefficiente e la sensibilità cellulare ad essi si riduce, facilitando l’insorgenza dell’ipotiroidismo, del diabete mellito, ecc.

Appare evidente che qualsiasi forma di integrazione nutrizionale non può non tener conto delle singolari proprietà morfo-funzionali e biochimiche della matrice cellulare.

L’ossigeno è a ragione considerato – almeno negli organismi aerobi, che sono poi le forme di vita prevalenti sul nostro Pianeta – l’elemento vitale per eccellenza. Esso, infatti, accettando nel corso del metabolismo terminale gli equivalenti riducenti estratti dai vari nutrienti, consente di generare, attraverso la fosforilazione ossidativa, l’adenosintrifosfato, indispensabile per tutte le funzioni cellulari (metabolismo, accrescimento, riproduzione, movimento, etc.).

Persino in forma radicalica, l’ossigeno gioca un ruolo determinante nei processi vitali, contribuendo, nelle specie più evolute, alla difesa contro microrganismi patogeni (virus e batteri).

E’ evidente che un’alterata biodisponibilità di questo prezioso elemento, specialmente se intensa e/o protratta nel tempo, avrà conseguenze deleterie sulle funzioni dell’intero organismo.

Nell’Uomo, in particolare, quando la pressione parziale di ossigeno (una misura della concentrazione del gas) scende, nel sangue arterioso, al di sotto del valore soglia di 60 mm Hg, i tessuti vanno incontro ad una condizione definita “ipossia”.

Responsabili di quest’ultima possonoessere una riduzione dell’ossigeno disponibile nell’aria inspirata (ipossia ipossica), un aumento dell’estrazione del gas da parte dei tessuti per rallentamento della velocità di circolo (ipossia stagnante), una riduzione della quantità totale di emoglobina circolante funzionalmente attiva (ipossia anemica) o, infine, un blocco, generalmente iatrogeno, della fosforilazione ossidativa (ipossia istotossica).

Qualunque sia la causa, l’ipossia si accompagna ad uno stato di sofferenza tissutale, spesso subdolo, in quanto difficilmente riconoscibile, data l’aspecificità della sintomatologia (astenia, cefalea, mancanza di concentrazione, etc.). Infatti, solo quando la ridotta disponibilità di ossigeno diviene cronica, essa dà segni in qualche modo patognomonici (pallore, fragilità ungueale, crescita stentata dei capelli etc.).

Fino alla metà degli anni ‘50 si riteneva che l’ipossia fosse l’unico evento indesiderato in qualche modo riconducile ad un alterato “metabolismo” dell’ossigeno.

L’ eccesso di Ossigeno.

In realtà, studi relativamente recenti hanno dimostrato che anche l’aumento della disponibilità dell’elemento – iperossia – può essere pericoloso, in quanto fa aumentare la probabilità di generare in maniera incontrollata specie chimiche altamente reattive, quali il radicale idrossile ed il perossido di idrogeno, di cui è ampiamente noto il potenziale istolesivo.

E’ ancora più recente la dimostrazione che fluttuazioni della pressione parziale di ossigeno – ossia abbassamenti del livello del gas nei tessuti seguiti da altrettanti innalzamenti – possono risultare pericolose almeno quanto l’ipossia o l’iperossia. Un fenomeno del genere, noto come ischemia-riperfusione, si verifica allorché il sangue affluisce copioso lungo un vaso in precedenza sede di un transitorio ostacolo – funzionale (es. spasmo con successiva dilatazione) o meccanico (es. trombosi con successiva lisi del coagulo) – alla circolazione.ù

Fenomeni di ischemia-riperfusione avvengono fisiologicamente, allorché parti più o meno estese del nostro corpo sono sottoposte a fasi di compressione-decompressione (es. passaggio da una prolungata posizione seduta alla stazione eretta), oppure in condizioni francamente patologiche, come nelle ischemie d’organo e nella cosiddetta apnea notturna, ovvero per effetto indesiderato di specifici trattamenti (es. trapianti d’organo, interventi di by-pass, etc.).

In tutti questi casi la transitoria ipossia provoca, attraverso un complesso meccanismo che vede implicati il calcio ed alcune proteasi, la conversione dell’enzima xantina deidrogenasi in xantina ossidasi. Quest’ultima, nel momento in cui la pressione parziale di ossigeno ritorna alla norma, utilizza il prezioso gas per produrre specie chimiche altamente reattive, quali il radicale idrossile e il perossido d’idrogeno, in definitiva responsabili delle lesioni tissutali da riperfusione.

Da questo punto di vista, il fenomeno della ischemia-riperfusione è uno dei fattori primari responsabili del cosiddetto stress ossidativo, con ciò intendendosi uno squilibrio fra la produzione e l’eliminazione di radicali liberi.

A tal proposito, evidenze sperimentali dimostrano che è possibile prevenire il danno da ischemia-riperfusione attraverso la pre-somministrazione di antiossidanti.

Appare chiaro da quanto sopra esposto che il mantenimento di un livello costante di ossigenazione tissutale – pur nei limiti della variabilità dettata dalla richiesta metabolica – è una condizione assolutamente indispensabile per una corretta funzionalità cellulare.

Di ciò bisogna tener conto quando si vuol correggere uno stato di ipossia. In questa condizione, infatti, una somministrazione di ossigeno al di sopra di quella effettivamente richiesta può provocare la trasformazione parziale delle molecole del gas in radicali liberi istolesivi. E’ ampiamente noto, al riguardo, il nesso di causalità effettiva tra iperossia e fibroplasia retrolenticolare nei neonati ipossici. Ciò perché l’ossigeno, gas vitale per eccellenza, può trasformarsi, in determinate condizioni, in un vero e proprio killer cellulare.

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